Se l’intelligenza artificiale ha dominato gli investimenti e i trend di mercato degli ultimi anni, i professionisti dell’ecommerce e della pubblicità sono sicuramente entrati in contatto con un’altra grande tendenza che ha attraversato la storia recente di questi settori: il retail media. La pratica si riferisce alla vendita di spazi pubblicitari da parte dei retailer sulle loro piattaforme online e offline, in una situazione cioè dove i consumatori sono già orientati all’acquisto. Il retail media esiste da decenni, le pubblicità tra gli scaffali di un supermercato ne sono tecnicamente un esempio, ma quello che ne contraddistingue la forma moderna è la sua possibilità di ottimizzazione algoritmica. Prendendo l’esempio classico degli annunci sponsorizzati su un sito di ecommerce, la promessa del retail media è che un brand potrà vedere le sue pubblicità emergere miratamente verso i consumatori più propensi all’acquisto dei suoi prodotti, piuttosto che doversi affidare a soluzioni pubblicitarie su larga scala con limitata capacità di profilazione. 

Con questo strumento infatti, le campagne pubblicitarie sono attivate sulla base dei dati di prima parte del retailer, come lo storico degli acquisti e le preferenze di navigazione dei suoi clienti, informazioni considerate tra le più predittive di acquisti futuri. Le offerte di retail media più avanzate permettono anche la targettizzazione degli acquirenti su piattaforme esterne a quelle del retailer di riferimento (offsite); ad esempio, un supermercato che compra una pubblicità su Google per conto di un brand suo cliente. 109 tra agenzie di marketing e aziende distributrici di beni di consumo interpellate da Skai nel suo State of Retail Media Report 2025, indicano il retail media  come il loro più importante canale pubblicitario.

Fonte: Skai State of Retail Media Report 2025. Risposte totali: 109 (80 brand, 29 agenzie)

La nascita del retail media moderno è spesso fatta risalire al lancio di Amazon Marketing Services (ora Amazon Ads) nel 2012 e ancora quest’anno, secondo le previsioni di Emarketer, l’azienda di Seattle attirerà circa il 39.8% della spesa globale in questo settore. Sviluppare un'offerta retail media infatti non è semplice, in particolare per i retailer più piccoli. Per potere funzionare bene il retail media necessita di dati dettagliati sul comportamento e le tendenze di acquisto dei consumatori. Maggiore è il traffico, maggiori sono i dati raccolti, che a loro volta si traducono in una più alta capacità di segmentazione delle offerte. Nell’ultimo periodo, il retail media sembra poi avere un problema con l’analisi della redditività. Tradizionalmente, uno dei vantaggi di questa strategia rispetto ad altri tipi di pubblicità è stato quello di poter più facilmente stabilire l’effetto delle campagne promozionali sulle vendite finali. Usando ancora le inserzioni sponsorizzate come esempio, un pubblicitario può determinare infatti quante persone cliccano sul suo annuncio e quante di queste poi procedono all’acquisto, ottenendo quella che viene definita “closed-loop attribution”, cioè la possibilità di collegare direttamente l’input pubblicitario all’output di vendita. L’espansione degli strumenti di retail media e la crescente frammentazione dell’offerta stanno però rendendo più difficile questo processo. Secondo la ricerca di IAB, le “opzioni di misurazione” sono la prima caratteristica valutata dalle aziende nella scelta di una piattaforma di retail media, superando addirittura considerazioni sulla portata del pubblico raggiungibile.

In Italia il retail media è ancora agli inizi, ma è probabile che continuerà a svilupparsi seguendo la traiettoria già vista in altri paesi. Più in generale poi, citando sempre la ricerca di IAB, i professionisti del settore si aspettano che la crescita nel prossimo anno sarà caratterizzata da una progressiva standardizzazione dell’offerta, complice anche la graduale sparizione dei cookies, fino a pochi anni fa il cardine della pubblicità online.

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